Che spazio occupano i valori nella nostra vita? Dove li collochiamo rispetto alla quotidianità e cosa ne consegue?
Quello valoriale è un tema che si installa nella dimensione psichica e spirituale dell’esistenza, non trova applicabilità nella vita biologica e zoologica. Riguarda dunque gli esseri umani e la loro facoltà di scelta.
Parlare di valori in senso etico significa parlare di una peculiarità umana che definisce la mappa dei comportamenti, delle scelte, dei pensieri, delle interpretazioni di cui siamo protagonisti.
In cosa crediamo oggi? A questa domanda rispondiamo spesso proprio con i nostri valori: es. “credo nell’onestà, nell’amicizia, nel rispetto” e così via.
Dunque il verbo credere può essere considerato a buon diritto uno dei reggenti fondamentali e più usuali quando parliamo di valori. L’etimologia del verbo credere, dal latino, ci suggerisce tra i significati: prestare fede, affidare, confidare. Dunque, per esempio: affidarsi all’amicizia, confidare nel rispetto, prestare fede all’onestà.
Quando parliamo di valori compiamo effettivamente un atto di fede (il suo significato etimologico è cordicella, legame). Ci leghiamo dunque ai valori, costruiamo un legame tra noi ed essi. La vita che esprimiamo attraverso le nostre azioni, parole, scelte, rappresenta proprio questo legame. O meglio: lo rappresenta? Utilizzando ancora l’immagine della cordicella potremmo dire che la lunghezza di questo laccio, la sua tensione, lo spazio di distanza che si stende tra noi e i nostri valori mette capo a esiti diversi, ci rende più o meno somiglianti ai valori che professiamo e rende essi più o meno costitutivi del nostro essere umani.
Ma è davvero così indispensabile che questo legame ci sia? Si potrebbe fare a meno di credere in dei valori? Che valore hanno essi per la nostra vita e che cosa accadrebbe se non ci fossero?
Ne parla in abbondanza Vito Mancuso in molti dei suoi saggi, traendo a sua volta questo assunto tanto dalla filosofia quanto dalla fisica: siamo fatti per l’aggregazione. L’uomo, la vita, tutto ciò che esiste risponde inevitabilmente alla legge dell’aggregazione. Affidandoci alle innumerevoli prove di tale considerazione non possiamo non cogliere la straordinaria familiarità tra questo concetto e quello di legame, che l’etimo di fede ci suggerisce. Se l’aggregazione è dunque inevitabile e l’uomo stesso ne è rappresentazione, causa e conseguenza, mi sento di azzardare che forse avere fede, avere dei legami, credere in qualcosa, sia altrettanto naturale quanto inevitabile per noi, come parte di un processo intrinsecamente relazionale. Un’altra domanda tuttavia ne scaturisce: perché avere fede nei valori? Possiamo averne in noi stessi, in qualcuno, in Dio, in qualcosa, nella fortuna: perché nei valori? E, ancora prima, cosa può essere definito valore e cosa no?
Mi chiedo se, ragionando in modo teorico, non sia possibile considerare potenzialmente qualsiasi cosa come un valore. Poniamo il caso che io abbia fede nella sedia che vedo in questo momento di fronte a me. Credo in questa sedia, dunque nel suo valore, che si declina più o meno in questo modo: il valore del materiale di cui è composta, del legno di ciliegio; il valore economico, ossia il costo di cui personalmente non sono a conoscenza, il valore di contribuire all’arredamento della stanza in cui è collocata (dunque un valore estetico) e di fornire una comoda seduta a chi dovesse utilizzarla (un valore funzionale). Aggiungerei che ha un valore affettivo, nella misura in cui si trova nella casa dei miei genitori da molto tempo e sarà probabilmente mia coetanea.
Tutto ciò che ho elencato pertiene a delle caratteristiche della sedia, a delle qualità e proprietà sue costitutive, sostanziali e oggettive, altre relative e soggettive (la sedia in rapporto all’ambiente, in rapporto alla sua funzione, in rapporto alle persone e a una storia), che ne definiscono quindi il valore.
A prescindere dal cosa che poniamo nella nostra lista di riferimento, possiamo convenire che tutto, nel mondo materiale, naturale, umano, abbia un valore. Ma di qualsiasi cosa definiamo come tale, come nostro valore in cui credere, la questione decisiva è a quale “tra i tanti valori che ha quel certo valore” – si perdoni il gioco di parole – prestiamo la nostra fede. Possiamo tenere una corda più stretta ai valori materiali, affettivi, utilitaristici, estetici, etici. Anche quando parliamo di noi stessi o degli altri. Se il valore più importante a cui tende la mia cordicella dovesse essere quello materiale, mi preoccuperei di salvaguardare questa sedia dall’usura o al contrario potrei venderla per ricavarne un guadagno. Potrei essere maldestra qualora non mi importasse nulla di rovinarne l’aspetto. Se dessi priorità al valore affettivo avrei cura della sedia a prescindere dalla sua forma, anche dalla sua comodità. Non la sostituirò con un modello di design all’ultima moda né con una più comoda. Diversamente potrei farlo. Anche le mie emozioni e i miei sentimenti cambieranno in base a queste possibilità: rimarrò indifferente se la sedia non ci sarà più la prossima volta che tornerò in questa casa, oppure ci rimarrò molto male, mi dispiacerà se qualcuno dovesse romperla, o venderla, o buttarla via. I nostri valori influenzano sempre i nostri comportamenti e i nostri atteggiamenti psichici ed emotivi. Definiscono in qualche modo il peso, la considerazione, l’importanza che assegniamo a certe cose e, dal momento in cui tutto ha un valore, definiscono il peso, la considerazione, l’importanza che assegniamo a tutte le cose.
Non si tratta allora forse di domandarci se abbiamo o meno dei valori, perché a quanto abbiamo visto questo non dipende neanche da noi. Il punto di attenzione è la scelta, che è sempre una scelta qualitativa: in quali valori scelgo di credere?
Nella rete di legami e cordicelle a cui siamo connessi, cosa teniamo più vicino? Da cosa prendiamo le distanze? Con cosa addirittura coincidiamo? E talvolta: cosa tagliamo? È sempre una scelta e questa libertà tutta umana è a mio avviso proprio il gesto esistenziale per eccellenza, un gesto etico e spirituale, psichico, con cui prendiamo posizione all’interno del processo naturalmente aggregativo di cui siamo parte. Il fatto di credere, di aver fede in qualcosa e non in qualcos’altro, diventa in questa prospettiva un atto di autodeterminazione umana di grande incidenza a livello individuale e collettivo. Ridefinisce la mappa delle direzioni del singolo, delle comunità, della società, del mondo intero.
Vi siete mai interrogati sui valori in cui credete? Quanto è lunga la corda tra voi e certe categorie? Quali legami sono più stretti e in che modo definiscono il vostro agire? Che ne fareste della vostra sedia in sala da pranzo?